L’orrore che visse due volte

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Nel 1998 l’orrore si presentò due volte al cinema; la prima volta con la realizzazione del film “Totò che visse due volte“, la seconda con la censura della Commissione di revisione cinematografica che giudicò l’opera degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell’umanità, offensivo del buon costume, con esplicito disprezzo verso il sentimento religioso e contenente scene blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale”. Pertanto la visione di quel film in un primo momento venne vietata a tutti.

Fortunatamente in appello il secondo orrore (la censura) venne eliminato e il film visse per la seconda volta proprio come nel suo enigmatico titolo, rientrando nel circuito cinematografico nazionale ma ottenendo uno scarso interesse da parte del pubblico con appena 6422 spettatori e  incassi per 68 milioni di lire, molto poco considerando che il “lavoro” di Ciprì e Maresco venne finanziato con CONTRIBUTI PUBBLICI di 1.178 milioni delle vecchie lire in quanto ritenuto di “interesse nazionale“.

E’ più che palese la contraddizione che sta nel finanziare con tanti soldi pubblici un’opera cinematografica la cui visione viene prima finanziata e poi vietata, nonostante sia stata giudicata “di interesse nazionale“, da istituzioni riconducibili entrambe allo Stato Italiano; potrebbe quindi sorgere il dubbio che la censura possa essere stata una sorta di escamotage, poi rivelatosi inutile, per pubblicizzare il film in modo occulto attirando così la curiosità del pubblico con un provvedimento eccezionale emanato solo in rarissimi casi.

Io non sono assolutamente d’accordo con la censura istituzionale, la gente ha il diritto di valutare autonomamente il valore di un’opera cinematografica e ritenerla meritevole o no di poter essere chiamata “opera d’arte” senza il passaggio preventivo dal setaccio istituzionale, ma il fatto di essere stato censurato non fa automaticamente di questo film, per me disgustoso e inutilmente osceno, un capolavoro del grande schermo come purtroppo giudicato da certa insulsa critica che lo ha perfino premiato. 

Sono ateo e quindi di certo non mi ha minimamente sconvolto la presunta blasfemia del film, piuttosto mi ha disgustato profondamente il reiterato approfondimento del degrado sociale cui sono stati da sempre avvezzi i due “registi” fin dai tempi di “cinico tv” sfruttando le più infime miserie umane e perfino gli effetti plateali di gravi patologie psichiche dei loro “attori”; in passato l’hanno fatto nella convinzione di far ridere ma in seguito hanno ritenuto di poter “affascinare” coloro che vantano doti da intellettuali elogiando ciò che la maggioranza popolare rifiuta per istinto. Questo atteggiamento potrebbe essere definito “bullismo cinematografico” che con l’arte non ha nulla da spartire. Qualcuno è caduto nel bieco tranello finendo per divertirsi alle spalle di tanti poveri disgraziati messi ad hoc sul palcoscenico mediatico dai due “registi” senza badare al loro strisciante e spietato sbeffeggiamento (soprattutto da parte di Maresco che ha proseguito poi da solo su questa strada nelle sue opere successive) che specula sulle disgrazie sociali e umane presentandoli al mondo come “intellettuali” al pari di giganti della cinematografia (Pasolini, Hitchcock, Bertolucci, Monicelli, Brass …) che non meritano di certo di essere messi al confronto di questi orrori solo per il fatto di essere stati censurati. 

Certa critica, anche internazionale, ha elogiato la cruda descrizione del degradante contesto ambientale in cui si svolgono i fatti, anch’essi estremi e disgustosi in un lembo di Palermo caratterizzato certamente da povertà, sfacelo e declino sociale ma amplificati nel film fino al parossismo dalla becera eterna attitudine di Maresco e Ciprì di sguazzare nel “fango” per curare i loro inestetismi artistici nella speranza, purtroppo spesso realizzata, di generare per loro un ritorno d’immagine culturale, in realtà inesistente, che finisce però per “degradare la dignità del Popolo Siciliano“, come manifestato nelle motivazioni dell’iniziale censura della Commissione di revisione cinematografica. Ma certe denunce, peraltro già piuttosto note al grande pubblico, possono benissimo essere espresse in modo meno cruento e disumano (faccio l’esempio dell’ottimo film  “Dogman” di Matteo Garrone nel contesto di un’altrettanto degradata periferia romana).

In questi giorni l’orrore rivive per la seconda volta e qualcuno su un quotidiano on line locale, con la scusa del venticinquesimo compleanno del “capolavoro” cinematografico, ne ha voluto ricordare le traversie tessendone comunque le lodi e i “grandi meriti artistici” … i “martiri” (della censura in questo caso) finiscono per trarre giovamento dalle loro sventure acquisendo il carisma, spesso totalmente immeritato, di “pilastri” storici del loro campo d’azione. Ma a coloro che si schierano fuori dal coro delle proteste, che si inventano kafkiane chiavi di lettura per motivare certe scene di questo film, che offendono coloro che si ritengono offesi dopo la visione di “Totò che visse due volte“, vorrei dire: almeno per una volta, abbiate il coraggio di ammettere che IL RE E’ NUDO e che quello scintillante artistico abito che indossa in realtà è solo un trasparente velo di speculazione mediatica.

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