Cosa resterà?

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La tecnologia del terzo millennio attrae e affascina smodatamente sia la generazione dei padri cinquantenni/sessantenni, sia quella dei loro figli e dei loro nipoti; genericamente in maggior modo quella che viene chiamata “generazione Z” (le persone nate tra la fine degli anni ’90 del secolo scorso e gli anni del primo decennio di questo secolo).

Gente più anziana (dai 75 in su) o non riesce minimamente a comprendere le logiche con cui operano i computer, e dunque non li sa utilizzare, o, nei rari casi in cui si riscontrano “vecchi prodigiosi” che sanno dove mettere le mani nel mondo digitale, viene fuori che questa capacità, che sa di miracoloso in quest’epoca che tende a isolare chi non riesce ad adeguarsi, è però fine a se stessa. Gli utenti tanto avanti con l’età anagrafica che operano sui pc e sul web lo fanno esclusivamente per curiosità, per sentirsi ancora “vivi”, per non ritrovarsi emarginati dalla società, certamente non per competere col resto del mondo o perché credono in un futuro per tutto quello che immettono nella rete. Sono perfettamente consci che nella sfera della tecnologia digitale tutto, ma proprio TUTTO, può cambiare in un nanosecondo per il semplice volere schizoide di chi gestisce i portali, i social, le piattaforme web, i media on line. Tutto si evolve, o si involve nella maggior parte dei casi, per fare nuovi business, per fidelizzare gli utenti nei modi più disparati, per sfruttare, a uso e consumo di pochi “manovratori“, l’ingenuità di qualche miliardo di poveri consumatori della rete che si illudono di postare contenuti validi che possono arrivare al resto del mondo.

I giovani invece, obnubilati dal sogno di diventare famosi in questo mondo in cui squallidi personaggi (influencer, li chiamano così), inzuppati nella pubblicità più banale ma talvolta remunerativa, sono riusciti a monetizzare le loro sciocchezze, continuano incessantemente a postare di tutto pur di raccogliere like e visibilità. Basta vedere la qualità dei post che diventano virali; sette su dieci sono o videoclip o performance dilettantistiche, spesso magari anche divertenti, di ballerini, musicisti e animaletti da compagnia (su tutti i social TikTok docet). La qualità è stata seppellita dalla quantità, ma la quantità, nel tempo, è il peggiore fra i vari tipi di oblio, copre tutto con la sua mastodontica enormità. Che speranza può avere un post di grande livello culturale, una dotta riflessione di un intellettuale, una bella poesia o un’intelligente citazione letteraria di sopravvivere alla valanga di dati grotteschi e inespressivi che travolgono le poche perle lasciate ai “posteri” sui social?

Cosa resterà in futuro di una tecnologia che da importanza alla quantità piuttosto che alla qualità dei contenuti? E quando dalla melma spunta timidamente qualche testo culturalmente interessante che riesce a superare lo sbarramento della visibilità imposto dallo squallore dei post virali, sono i commenti a ridimensionarne l’ascesa. Non c’è post in rete che non preveda la presenza di almeno una metà di commenti volgari, sguaiati, sgrammaticati, grossolani, incomprensibili, fuori tema o perfino minacciosi. Si contesta tutto e il contrario di tutto, anche se l’osservazione postata risulta evidente, scontata e oggettiva ci saranno sempre i bastian contrari dissidenti che la butteranno giù con le più stupide e sconclusionate argomentazioni.

Evidentemente dietro tutto questo non c’è solo la futilità dei social, fatte salve le eccezioni che ne confermano tuttavia l’utilità, c’è piuttosto un male sociale sempre più diffuso che porta alla disgregazione, allo schieramento opposto, all’irrilevanza globale.

La “non-cultura” prevarrà certamente sulla cultura ma facendo perdere alla fine TUTTI. I troll della rete, gli ebeti e gli ignoranti infatti andranno a fondo insieme agli odiati “intellettuali” e alle dotte considerazioni da loro non comprese e tanto detestate. 

In questo tristissimo contesto ci si mette pure la tecnologia che, per fare business (e ammettiamolo una buona volta che si tratta di una vera e propria truffa ai nostri danni e non di reali necessità informatiche), cambia continuamente e senza soluzioni di continuità, trasformando, cancellando, eliminando, spostando, stravolgendo e seppellendo tutto quanto è stato immesso in rete; insomma ogni produzione della mente umana immessa nel tritacarne della rete finisce con l’essere digerita in poco tempo e successivamente evacuata senza essere minimamente metabolizzata pur restando sempre lì in putrefazione.

E’ la MORTE INFORMATICA, cosa resterà ai nostri pronipoti di tutta questa poltiglia indifferenziata?

 

Sergio Figuccia

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