La fama è figlia delle visualizzazioni, poveri noi!

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Una volta la popolarità nasceva dal talento, quello vero, certamente non quello artificiale costruito con meschine tattiche psicologichecontraffazioni comunicative e sfruttamento dell’ingenuità popolare, oggi tanto in uso nei settori dello spettacolo, dell’informazione e della musica.

Una volta c’erano i Beatles e i Rolling Stones … poi quasi nient’altro; solo pochissimi altri gruppi e qualche cantante potevano vantare una fama internazionale di grande portata. Ma erano gli anni ’60 e non erano ancora nati i socialinternet, le emittenti private, le pay tv, i cellulari e i telegiornali corrotti.

Negli anni ’70, ’80 e ’90 subentrarono nella scena mondiale centinaia di altre figure rese celebri dalle televisioni, dalla cinematografia, e dai diversi generi musicali come il pop, la dance, il jazz, il rock, e le nascenti musica elettronica e musica industrialeQuest’ultima, conosciuta come industrial music, nacque proprio agli inizi degli anni ’70 dalla Industrial Records ma negli anni seguenti si diffuse in quasi tutto il mondo, Asia compresa. Attori, Giornalisti, Presentatori tv, e gli esponenti di questi generi musicali divennero star mondiali, ma erano comunque in possesso di un enorme bagaglio professionale, di grande talento personale e di innegabile carisma artistico. Insomma la fama e il successo arrivavano solo grazie al merito; oggi invece il merito e il talento sono solo optional e neanche particolarmente richiesti.

Assistiamo alla fine di quasi tutti i tg nazionali all’esaltazione quotidiana di cantanti giovanissimi, spesso mai sentiti o conosciuti solo dai loro fan della stessa età, portati “in trionfo” mediatico per il loro ultimo disco lanciato sul mercato o per il loro ultimo concerto live. Viene spontaneo pensare che questa pubblicità occulta, mascherata da servizi giornalistici, sia in realtà realizzata con la “sponsorizzazione” di certe case discografiche per favorirne il relativo business.

Poi, per motivare questi “servizi” televisivi, inseriti a forza nelle trasmissioni della pubblica informazione, viene segnalato con estrema enfasi il particolare del numero delle visualizzazioni o dei like raccolti in rete da questi “fenomeni” della musica contemporanea. Ho sentito perfino vantare le prestazioni di un pisquanello di 18 anni che dice di aver racimolato 7 miliardi di visualizzazioni internet, praticamente ogni abitante del Pianeta Terra, anche se abitante all’interno della Foresta Nera, sull’Everest, o al Polo Nord, si è connesso a internet per assistere alle performance di questo genio della musica. E di questi casi ce ne sono a centinaia, cambiano solo le proporzioni che comunque si aggirano sempre su quell’ordine di grandezza, miliardo più, miliardo meno.

Permettemi di dire che questi numeri sono inattendibili; personalmente ritengo (ma è solo una mia convinzione) che siano estremamente gonfiati ai fini pubblicitari mediante l’uso di particolari algoritmi che ne aumentano esponenzialmente le dimensioni.

Ma la cosa più grave è che questi creativi rilevamenti costituiscono in quest’epoca di demenzialità mediatica, l’unità di misura del valore di una persona … altro che talento, altro che merito artistico o professionale! Sorgono così all’orizzonte del successo figure grottesche di cantanti che non sanno cantare, di giornalisti che non sanno parlare, di influencer che non sanno influenzare ma che hanno successo sui social solo per essere derisi dagli utenti (è il fenomeno del bullismo mediatico) e di mediocri allo stato puro che si atteggiano a star dell’universo mediatico.

Valutate quello che ho scritto secondo la vostra intelligenza; che le televisioni, i social, i giornalastri e gli operatori dello spettacolo facciano quello che vogliono (siamo in un Paese che “finge” di essere libero) ma che almeno noi, che stiamo dall’altra parte, continuiamo a mantenere integra la nostra capacità di giudizio senza farci prendere in giro da certi indegni personaggi che, invece di soggiornare come meriterebbero nel “dimenticatoio“, continuano inesorabilmente a saturare i social network e le televisioni, pubbliche o private che siano, con le loro inutili e insulse performance.

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