La “zanzara” secondo Figuccia

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LA ZANZARA SECONDO FIGUCCIA…
Sergio Figuccia è un amico e collega, persona e scrittore che stimo, ma è anche un uomo onesto che mai spenderebbe parole che non sente profondamente. Proprio per questo, e non solo per questo, la sua recensione a “La zanzara dagli occhi di vetro” è tutta da leggere.
Alessandro Vizzino
 
“Dopo aver visto all’opera il vicequestore Rocco Schiavone, ideato da Antonio Manzini, o i poliziotti traviati di True Detective concepiti da Nic Pizzolatto, dopo aver schedato nella memoria noir del mio archivio mentale una serie lunghissima di investigatori, sbirri, commissari e ispettori a dir poco strampalati, saltati fuori da decine di film e produzioni delle piattaforme streaming, pensavo di aver catalogato tutte le possibili alterazioni sociopatiche e comportamentali che la fantasia di uno scrittore possa aver fatto calzare a forza ai suoi personaggi, ma mi sbagliavo di grosso. Me ne sono reso conto quando ho scoperto l’investigatore Valentino Mastro partorito dal genio creativo di Alessandro Vizzino. Nel romanzo giallo “La zanzara dagli occhi di vetro” Vizzino dipinge una figura di detective che difficilmente potrà trovare equipollenti nella letteratura poliziesca, perché forse per la prima volta in assoluto il personaggio di un libro viene analizzato sia dall’esterno sia dall’interno. Con uno splendido uso del corsivo infatti il protagonista del romanzo viene osservato, oltre che dal narratore fuori campo che riporta i suoi rapporti interpersonali, anche dal punto di vista della sua stessa coscienza. Mastro pensa, riflette, racconta sé stesso, mentre chi legge impara a conoscerlo a fondo, fin dentro la sua stessa psiche. Al cinema, quando lo spettatore guarda dallo stesso punto di vista dell’attore, si dice che la ripresa è stata effettuata in soggettiva, ma in un film questa tecnica è facilmente realizzabile, in letteratura invece sono pochi gli autori che si possono fregiare di questa capacità descrittiva. Alessandro ci fa dunque vivere la storia sbirciando anche dallo stesso spioncino che consente all’anima del protagonista la visione sul suo mondo esterno, sul quel pianerottolo su cui scorre una vita suburbana condita dai più sordidi orrori che l’umana bestialità possa concepire. E qui si apre un altro scenario, una pagina di ripugnante realtà che si sfoglia sotto i nostri occhi e che mai avremmo voluto vedere, ma che purtroppo esiste nonostante la nostra immane voglia di tenerla seppellita in quel pozzo senza fondo che costituisce l’animo umano. In verità sono tante le pagine del libro che descrivono raccapriccianti sfaccettature di una società che ormai affonda nel degrado più totale; corruzione, sesso estremo, sordida violenza su creature prive di capacità di difesa, totale assenza di scrupoli di coscienza o di una qualsivoglia briciola di affetto autentico che possa far riconciliare in qualche modo l’immondo habitat in cui si svolge la storia con la cara vecchia umanità, una parola obsoleta che un tempo indicava comprensione, solidarietà, magari perfino amore, tutte caratteristiche della razza umana, ma che oggi costituisce solo sinonimo di un promiscuo e caotico insieme di individui appartenenti alla stessa famiglia di mammiferi terrestri. E Mastro si muove in questa oscena fanghiglia, in questo letame sociale con il quale è costretto a convivere avendone assunto tutte le peculiarità quasi per osmosi, l’autore lo colloca infatti al centro della vicenda anche per descrivere, proprio con le sue caratteristiche, l’imbarbarimento del suo contesto ambientale. Mastro è un tossico, un individuo incapace di amare, un lucido fruitore del sesso spicciolo ricco solo di sfumature di grigio ma senza alcuna venatura di colore affettivo. Le scene carnali mi hanno riportato indietro nel tempo, alle descrizioni presenti su una rivista pornografica tanto in voga fra i sedicenni del secolo scorso; ma d’altra parte non poteva andare diversamente, il sesso è sempre lo stesso, perversione in più perversione in meno, ma nel libro queste parentesi sono funzionali alla descrizione di quel vuoto che riempie l’animo del detective, e non si tratta di un ossimoro, come si potrebbe facilmente pensare, è tutt’altro e lo si scoprirà proprio nello sconvolgente finale della storia. In questo orrore a gogò non poteva di certo mancare il degrado dell’era digitale con quel capitolo dedicato al dark web, che tuttavia è ben impiantato nel racconto costituendo lo strumento essenziale per l’immonda feccia sociale al centro delle indagini private sia di Valentino Mastro sia dello stravagante staff di poliziotti che lo supporta. Ho letto centinaia di libri gialli, e ne ho pure scritto qualcuno, ma questo lavoro di Alessandro Vizzino, molto diverso dalle sue opere precedenti, credo possa costituire un nuovo archetipo di scrittura romanzesca per il coraggio dimostrato nel considerare certi argomenti, per la sapiente capacità descrittiva, peraltro già caratteristica principale nello stile di Alessandro, e soprattutto per l’analisi introspettiva del protagonista, forse per la prima volta esaminato pure dall’interno quasi l’autore gli avesse eseguito una diagnostica computerizzata per descriverlo al meglio; Vizzino insomma, per concludere con una battuta, ha fatto la TAC a Valentino Mastro.” (Sergio Figuccia)
 
 
 
Sergio Figuccia

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